Centri ittiogenici
Centro Ittiogenico del Trasimeno di S.Arcangelo e Impianto Ittiogenico di Borgo Cerreto in Valnerina

La Regione dell'Umbria ha un territorio particolarmente ricco di corsi d'acqua e laghi. Fra gli ambienti lacustri spicca il lago Trasimeno, quarto lago d'Italia che, con i suoi 121,5 chilometri quadrati di superficie, rappresenta un ecosistema unico, ricchissimo di forme di vita acquatiche animali e vegetali. A tale ricchezza di acque fa riscontro anche una pari abbondanza di popolazioni ittiche che la Regione dell'Umbria è chiamata a gestire tramite il proprio Servizio Foreste, Montagna, Sistemi Naturalistici, Faunistica.
Per meglio assolvere a tale compito, che prevede anche di effettuare ripopolamenti ove si reputi necessario potenziare alcune popolazioni, sono stati acquisiti dalla Provincia di Perugia i due Centri Ittiogenici: l'Impianto Ittiogenico di Borgo Cerreto in Valnerina, specializzato nella produzione di trote ed il Centro Ittiogenico del Trasimeno di S.Arcangelo.

 

AFFIDAMENTO DI TARTARUGHE ACQUATICHE PRESSO IL CENTRO ITTIOGENICO DEL TRASIMENO DI S. ARCANGELO.

In attuazione del Decreto Legislativo n. 230 del 15 dicembre 2017 articolo 27 comma 5, relativo alle specie esotiche invasive, la Regione Umbria ha attivato un servizio di accoglimento di tartarughe acquatiche esotiche.

L'abbandono di questi animali in natura, oltre ad essere vietato, è causa di gravi danni ambientali.

I cittadini che siano costretti a disfarsi di tartarughe acquatiche e che, per qualsiasi motivo non siano più in grado di mantenerle in modo adeguato, possono consegnarle, previo appuntamento telefonico, al Centro Ittiogenico del Trasimeno della Regione Umbria a S. Arcangelo di Magione.

Tel. 366 8309346, orario:  lunedì ore 08:00 – 16:00 ; mercoledì ore 08:00 - 13:00.

 

Centro Ittiogenico del Trasimeno 

Nell'avannotteria vengono effettuate la riproduzione, l'incubazione delle uova e la prima fase dell'allevamento, nonché una breve stabulazione dei riproduttori e del prodotto finito prima delle semine. E' il settore a più alta tecnologia ed è principalmente occupato da vasche in vetroresina, bottiglie di Zug per l'incubazione delle uova ed un impianto di filtrazione dell'acqua captata dal lago, che elimina il materiale solido in
sospensione, senza alterarne le caratteristiche chimiche. Il settore esterno è invece costituito da 16 vasche in terra, di cui tre destinate alla stabulazione dei riproduttori e da 6 vasche in cemento. Lo svuotamento di tutte le vasche avviene per gravità e prima che le acque utilizzate ritornino al lago attraversano una vasca di lagunaggio e decantazione.
L'attività produttiva, tipicamente stagionale, inizia nel mese di febbraio con la riproduzione del luccio. I riproduttori, provenienti dal lago Trasimeno, sono catturati dai pescatori di professione, su autorizzazione della Provincia, nel momento in cui si spostano in acque basse per la deposizione delle uova. I lucci vengono trasportati con apposite vasche al centro ittiogenico, dove viene effettuata la riproduzione artificiale.
L'incubazione delle uova avviene all'interno della struttura, ma la schiusa avviene nelle vasche esterne, dove i piccoli pesci crescono fino al momento della raccolta. Terminato nel mese di aprile il ciclo produttivo del luccio, si procede con le carpe e le tinche.
Anche per la carpa vengono adottate tecniche di riproduzione artificiale. I riproduttori sono mantenuti per tutto l'anno in vasche all'aperto, tenendo separati i maschi dalle femmine per evitare riproduzioni incontrollate.

Tale impianto è finalizzato alla produzione di novellame di varie di specie ittiche di acque calde, quali il luccio italico (Esox flaviae) , la carpa (Cyprinus carpio) e la tinca (Tinca tinca).
Il Centro Ittiogenico del Trasimeno, nato su iniziativa del Consorzio Pesca ed Acquicoltura del Trasimeno, è ubicato nella zona sud del lago, nel comune di Magione, ed è un allevamento ittico, detto più propriamente avannotteria, specializzato nella produzione di novellame di 6-10 cm, immesso a fini di ripopolamento nel Trasimeno ed in altre acque fluviali e lacustri di competenza. L'attività è a ciclo completo, prevedendo la produzione con deposizione naturale o tramite fecondazione artificiale di uova e quindi di avannotti, che vengono accresciuti fino alla taglia richiesta.
L'impianto è alimentato da acqua del lago Trasimeno, pompata in una vasca di carico in cemento e da questa distribuita per gravità, tramite canalizzazione in parte aperta ed in parte chiusa, sia alle vasche in terra di allevamento sia all'avannotteria.
La struttura è composta di due settori distinti: una avannotteria coperta ed un settore esterno con vasche in terra. Quando la temperatura dell'acqua raggiunge i 18-20 °C vengono trasportati all'interno dell'avannotteria e mantenuti per breve tempo in vasche di vetroresina.
Una volta scelte le femmine più idonee alla riproduzione, riconoscibili dal ventre morbido e rigonfio di uova, si procede alla preparazione di un estratto ipofisario di carpa che, una volta iniettato, indurrà l'ovulazione circa 12 ore dopo il trattamento. Per evitare danni ai pesci, che possono essere riutilizzati per molti anni, gli stessi vengono anestetizzati.
La somministrazione dell'ormone, dopo averlo sciolto in soluzione fisiologica, avviene iniettandolo dietro la pinna dorsale, alla dose di 3 milligrammi per chilogrammo di peso. Analogo trattamento, ma ad un dosaggio inferiore, viene somministrato ai maschi perché producano del seme più abbondante e fluido. Quando la carpa è in ovulazione, riconoscibile dal rilascio spontaneo di qualche uovo in vasca, si procede alla spremitura ed alla raccolta delle uova. Queste vengono subito fecondate con il seme maschile, rispettando rigorosamente la metodica "a secco". Poiché le uova della carpa sono rivestite di una sostanza adesiva che in natura serve per farle aderire alle piante acquatiche, è necessario sottoporle ad un trattamento disagglutinante, che elimina tale adesività. Questo consentirà di metterle in incubazione nelle bottiglie di Zug senza che si incollino le une alle altre. Per ottenere tale risultato le uova vengono lavate con una soluzione di urea e
cloruro di sodio per circa un'ora, in tale lasso di tempo si idratano e si induriscono. Infine un rapido risciacquo con una soluzione di tannino, elimina eventuali residui di tale sostanza adesiva ed è quindi possibile metterle in incubazione. Dopo tre giorni, ad una temperatura di 20 °C, inizia la schiusa.
Le uova vengono rimosse dalle bottiglie di Zug, raccolte in un contenitore graduato per stimarne la quantità e fatte schiudere nelle vasche esterne su appositi telai. Gli avannotti appena nati si ciberanno di plancton e successivamente di appositi mangimi, fino al momento della raccolta a fine stagione.
Per la riproduzione della tinca invece si adotta il metodo naturale. I riproduttori, fra i quali è molto facile distinguere i sessi per le grosse pinne ventrali dei maschi, sono mantenuti separati in apposite vasche come le carpe. Al momento della riproduzione maschi e femmine vengono immessi assieme negli stagni, ove la deposizione delle uova avviene spontaneamente ed i riproduttori rimangono con gli avannotti fino al momento della raccolta.
A fine stagione, abitualmente nel mese di settembre, le vasche in cui sono state allevate sia le carpe sia le tinche, vengono lentamente svuotate e gli avannotti prodotti si raccolgono, come i lucci, in una grande rete posta in corrispondenza dello scarico. Dopo la pesatura ed i necessari conteggi, il materiale ittico prodotto viene utilizzato per i ripopolamenti programmati. Il Centro svolge anche una importate attività di monitoraggio delle specie ittiche di tutto il territorio e di ricerca e sperimentazione nel settore dell'acquacoltura e della pesca professionale, collaborando, con le cooperative di pescatori del Trasimeno e con varie Università, prima fra tutte l'Università di Perugia, sia nello svolgimento di ricerche, sia ospitando studenti per lo svolgimento di tesi di laurea o come tirocinanti.

Da alcuni anni inoltre è in atto una proficua collaborazione con il Corpo Forestale dello Stato – Ufficio CITES, per la custodia, presso il Centro Ittiogenico, di tartarughe acquatiche appartenenti alle specie Trachemys scripta elegans, Trachemys scripta scripta, Graptemys kohni ed altre. Da una attività iniziata quasi casualmente, dopo il rinvenimento di alcuni esemplari abbandonati nel lago Trasimeno, ci si è resi conto che con un modesto impegno, grazie alla disponibilità presso il Centro Ittiogenico di strutture, spazi e personale competente, si poteva rendere un servizio volto principalmente al recupero di questi animali, prevenendone l'abbandono e quindi alla loro tutela e nello stesso tempo di salvaguardia degli ambienti naturali, dalla sempre negativa introduzione abusiva di specie esotiche.

Fino a non molto tempo fa il luccio era considerato un feroce predatore, capace di distruggere le altre specie ittiche presenti nel suo ambiente. Oggi, grazie anche ad una maggiore conoscenza della biologia di questa specie e più in generale degli equilibri esistenti fra le specie acquatiche, al luccio viene riconosciuto il fondamentale ruolo di "regolatore" e "selezionatore" nei confronti delle altre specie ittiche, impedendo, fra l'altro, un'eccessiva espansione di alcune popolazioni ed
eliminando i soggetti più deboli e malati. Il luccio inoltre, oltre ad essere utile per il mantenimento di un corretto equilibrio ecologico nelle acque dolci, è di grande importanza sia per la pesca sportiva che professionale.
A conferma di tale interesse un gruppo di lavoro costituito dal Dipartimento di Biologia Cellulare e Ambientale dell'Università di Perugia, dalla Provincia di Perugia, da Veneto Agricoltura e l'Imperial College di Londra, ha svolto una ricerca su questa specie, pubblicata sulla rivista internazionale Plos One (http://dx.plos.org/10.1371/journal.pone.0025218) e analizzato il DNA ed il fenotipo di
centinaia di esemplari, ha svelato l'esistenza di una nuova specie di luccio oltre a quello europeo (Esox lucius), ora chiamata luccio italico (Esox flaviae). L'analisi è stata condotta impiegando una combinazione di metodologie molecolari e biostatistiche particolarmente all'avanguardia. Questa nuova specie presenta caratteristiche genetiche e fenotipiche differenti dal luccio d'oltralpe. Si tratta di una scoperta importante perché sottolinea la peculiarità della fauna italiana, così ricca di specie endemiche e così particolare nel quadro della biodiversità Europea. Questa scoperta è, inoltre, importantissima per la Regione Umbria, dato che l'unica popolazione pura di E. flaviae per ora rinvenuta in Italia è quella del Lago Trasimeno. Tale situazione è dovuta alla particolare natura del Lago e soprattutto al suo isolamento, ma anche all'assidua e costante attività del Centro Ittiogenico del Trasimeno, che impiegando solamente riproduttori pescati in loco, ha garantito la sopravvivenza di un patrimonio genetico unico al mondo.
Alla rivalutazione di questo esocide fa purtroppo riscontro un generalizzato calo della sua presenza nelle acque interne italiane, imputabile sia al degrado ormai assai diffuso degli ambienti acquatici, con particolare riferimento alle zone di frega, sia a fenomeni di competizione con specie ittiche esotiche quali il persico trota (Micropterus salmoides). Questa situazione ha reso necessaria la produzione di forme giovanili di luccio, da utilizzare per ripopolamenti a sostegno di tale specie.
L'esocicoltura tuttavia è una delle forme di pescicoltura che trova tuttora limiti al suo sviluppo per il persistere di difficoltà legate alle caratteristiche biologiche del luccio. Uno dei problemi principali è sicuramente il regime alimentare di questa specie, strettamente zoofaga, che rende necessario disporre di cibo vivo in grandi quantità e di dimensioni adeguate ai vari stadi di accrescimento. E', infatti, molto difficile abituare gli avannotti di luccio a diete artificiali. Alcuni risultati a livello sperimentale sono stati ottenuti negli Stati Uniti ed in Europa, Italia compresa, ma tali esperienze non è stato possibile tradurle su larga scala. E' inoltre importante preservare la "rusticità" e "selvaticità" di pesci destinati al ripopolamento, privilegiando quindi tecniche di allevamento naturali. Altro grave problema è il cannibalismo che si manifesta assai precocemente e che, superata la lunghezza 30 mm, diventa così intenso da impedire in pratica qualsiasi forma di allevamento che non sia di tipo estensivo e quindi a bassa densità. Anche in queste condizioni rappresenta comunque un forte fattore limitante, che non consente di superare la taglia di 6-8 cm, se non riducendo ulteriormente e notevolmente la densità e fornendo piccoli pesci vivi come alimento, considerato che a questa taglia l'alimentazione diventa prevalentemente ittiofaga. Il luccio infine è una specie molto delicata e quindi facilmente attaccata da varie patologie di tipo parassitario, batterico e soprattutto virale, che rende difficoltoso non solo
l'allevamento degli stadi giovanili, ma anche la stabulazione di soggetti adulti, rendendo molto problematica la creazione di uno stock di riproduttori, da mantenere in permanenza in allevamento.
Sul lago Trasimeno, presso le strutture del Consorzio Pesca ed Acquicoltura, è stata praticata in passato, per oltre cinquanta anni, la raccolta in grande quantità di uova da riproduttori selvatici che, dopo fecondazione artificiale, venivano incubate con una massiccia produzione finale di larve a sacco vitellino riassorbito, reintrodotte nel lago a questo stadio. Tale pratica non sortì però gli effetti desiderati, tanto che nel Trasimeno si registrò una drastica riduzione della popolazione di lucci. Constatato invece che la semina di avannotti di alcuni centimetri consentiva di ottenere risultati di gran lunga superiori, nella zona di Sud-Est del lago fu realizzato il Centro Ittiogenico del Trasimeno, che entrò in funzione nel 1985, la cui produzione più importante sarebbe stata, ed è tuttora, quella di
luccetti di 6-8 cm di lunghezza. Il ciclo produttivo inizia ogni anno a metà febbraio con la produzione di uova ottenute da riproduttori selvatici catturati nel lago e già naturalmente in frega.
La fecondazione artificiale viene praticata utilizzando le femmine mature che con una leggera compressione dell'addome rilasciano le uova, raccolte in un recipiente di plastica.
Con analoga procedura viene raccolto il seme maschile che entrando in contatto con le uova le feconda. Tale metodica viene chiamata fecondazione artificiale "a secco" perché deve avvenire in assenza di acqua che, assorbita rapidamente dalle uova, le farebbe rigonfiare e ne limiterebbe il tempo utile per la fecondazione. L'incubazione avviene in bottiglie di Zug utilizzando acqua di lago accuratamente filtrata.

L'adesività delle uova è limitata e di breve durata, tanto da non richiedere alcun tipo di trattamento per eliminarla. La durata dell'incubazione è di 120 gradi-giorno e in base alle variazioni della temperatura, si protrae per due-quattro settimane. Poiché la percentuale di fecondazione delle uova raramente supera il 60-70 % è possibile lo sviluppo di miceti del genere Saprolegna sulle uova morte, che può essere controllato con trattamenti con acqua ossigenata (H2O2). Durante l'incubazione, a seguito dello sviluppo e della conseguente pigmentazione dell'embrione, il colore delle uova passa dall'arancione iniziale al marrone. Al momento della schiusa, quando si vedono le prime larve nuotare nelle bottiglie di Zug, le uova vengono trasferite con un sifone in un recipiente trasparente e graduato, per valutarne la quantità e la percentuale di fecondazione.
Le larve sono quindi seminate direttamente negli stagni di accrescimento, riempiti già da due settimane, distribuendole con cura lungo le rive, nelle zone in cui la presenza di vegetazione offra loro riparo e consenta di attaccarsi ad essa, come d'abitudine in natura, con un bottone adesivo che hanno sul capo. Presso il Centro Ittiogenico del Trasimeno in passato è stato sperimentato anche l'allevamento intensivo in vasche in vetroresina con distribuzione come alimento di nauplii di Artemia salina. I risultati ottenuti in tali condizioni sono stati particolarmente interessanti con produzioni finali molto elevate di 8-10.000 luccetti di 3 cm/m2 e sopravvivenza, a partire da larve a sacco vitellino riassorbito, pari al 70-80 %, analogamente a quanto ottenuto in Germania con tecniche simili. Limite di tale metodica sono i costi elevati delle cisti di Artemia, il notevole impiego di manodopera per la somministrazione dell'alimento, che deve essere effettuata molte volte al giorno e per la pulizia delle vasche, che deve essere quotidiana e particolarmente accurata. Altro
problema è rappresentato dall'impossibilità di ottenere taglie superiori ai 30-32 mm, sia per l'inadeguatezza dei nauplii di Artemia (troppo piccoli) per l'alimentazione di lucci di taglia maggiore, sia soprattutto per il cannibalismo che nel giro di pochi giorni comincia a dilagare e riduce drasticamente e velocemente la popolazione di una vasca. Non ultimo, e questo è il fattore decisivo che ha decretato l'abbandono di tale metodica, esiste il rischio molto concreto che in tali condizioni intensive, sempre a causa della delicatezza degli avannotti di luccio, si manifestino fenomeni patologici incontrollabili, capaci di azzerare la popolazione di una vasca in pochi giorni.
Per tali motivi presso il Centro Ittiogenico del Trasimeno si è puntato esclusivamente sull'allevamento in stagno.
Le larve seminate immediatamente dopo la schiusa ad una densità di 35-50/m2, completano il riassorbimento del sacco vitellino in circa due-tre settimane e quindi cominciano a nutrirsi del plancton vivo, che deve essere presente in abbondanza. A questo proposito è importante sottolineare che la corretta gestione della comunità planctonica degli stagni riveste una grandissima importanza e risulta decisiva per il conseguimento di buoni risultati alla raccolta. Per aumentare la produzione di plancton, al momento del riempimento, gli stagni sono concimati con circa 20 m3 di letame bovino maturo per ettaro di superficie. L'acqua pompata dal lago ed in questo caso non filtrata, porta nelle vasche crostacei planctonici (Bosmina sp., Daphnia sp.) che, trovando un ambiente particolarmente ricco di nutrimento, cominciano a riprodursi abbondantemente,
nonostante le temperature non siano inizialmente particolarmente elevate. Le piccole dimensioni di questi cladoceri (0,4-0,6 mm) li rendono adatti a soddisfare le esigenze alimentari dei luccetti nei primi 10-15 giorni di alimentazione, ma non sono sufficienti a portare gli avannotti alla taglia richiesta di 6-8 cm. Per tale motivo negli stagni, assieme alla larve di luccio, viene immesso un altro cladocero, Daphnia magna, allevato presso il Centro in apposite vasche, che ha la caratteristica di raggiungere dimensioni particolarmente grandi (4-5 mm). Questa specie di dafnia inizialmente non può essere predata dai piccoli lucci, perché troppo grande, ed in questo modo la popolazione può accrescersi notevolmente. Quando gli avannotti cominciano a nutrirsene, predano solo le più piccole e quindi le grandi sono ancora in grado di riprodursi. Nel momento in cui anche
le dafnie più grandi possono essere predate, la popolazione planctonica subisce una drastica riduzione ed il cannibalismo, che in ogni caso ha già cominciato a manifestarsi, subisce un rapido incremento. La raccolta degli avannotti, che a questo punto è improrogabile, avviene abitualmente alla fine di aprile dopo circa cinque-sei settimane dalla semina delle larve. Le densità medie finali ottenute sono di circa 8- 10 avannotti/m2 (max 17,79/m2), con una sopravvivenza, rispetto al quantitativo di larve seminate, del 20-30 % (max 33,74 %). Tali quantitativi sono da ritenersi molto soddisfacenti, se confrontati con quanto riportato in letteratura dove viene indicata una resa media di 2-3 avannotti/m2 . Trattandosi comunque di una produzione di tipo estensivo, in condizioni quasi naturali, fattori di tipo stagionale ed ambientale possono fortemente influenzare il risultato finale.
Particolarmente importate, come già accennato, risulta una corretta gestione del plancton che deve essere abbondante in ogni momento dell'accrescimento e di dimensioni adeguate alla taglia degli avannotti. Fenomeni meteorologici, quali improvvisi e significativi abbassamenti della temperatura, incidono negativamente sulla sopravvivenza e sull'accrescimento dei luccetti.
Fioriture di alghe filamentose possono infine rendere assai difficoltosa o addirittura impossibile la raccolta finale. Questa viene effettuata ponendo una rete di adeguate dimensioni nella apposita vasca di raccolta in cemento allo scarico dello stagno e lasciando defluire lentamente l'acqua attraverso di essa. I lucci, se non esistono impedimenti quali appunto alghe filamentose nelle quali
possono rimanere intrappolati, scendono seguendo il flusso idrico, raccogliendosi nella rete dalla quale vengono prelevati al termine dell'operazione e portati temporaneamente in avannotteria.

In queste condizioni possono essere stabulati solo poche ore perché la densità elevata favorisce il cannibalismo, con pesanti perdite. Il novellame così prodotto, dopo i necessari conteggi, viene quindi seminato nelle acque del lago Trasimeno. Per questo si utilizza una vasca da trasporto, corredata di un diffusore di ossigeno, collocata su una imbarcazione.

Presso il Centro Ittiogenico del Trasimeno è stata sperimentata anche la produzione di lucci di un'estate (sei mesi) ridistribuendo a bassa densità (un individuo/50 m2) una parte dei luccetti di 6-8 cm negli stagni destinati alla produzione di novellame di ciprinidi (carpe e tinche). Grazie all'abbondanza di nutrimento, la sopravvivenza risulta molto alta 80-90% e l'accrescimento notevole, con la raccolta a fine stagione di esemplari di 20-30 cm. La predazione esercitata dai lucci sulle specie ittiche a cui vengono abbinati non è tale da compromettere pesantemente la produzione di avannotti di queste ultime che, soprattutto per la carpa, si presenta qualitativamente migliore, per l'azione selettiva che i lucci esercitano, alimentandosi degli individui più piccoli, deboli, malformati o malati. Produzioni non a livello sperimentale necessitano però ovviamente di grandi superfici, vista la bassa densità che è necessario rispettare, anche per evitare l'onnipresente rischio di cannibalismo.

Centro Visite
All'interno di spazi ricavati nell'avannotteria del Centro, è stato inoltre allestito un percorso didattico, vistato da alcune centinaia di studenti ogni anno, che consente di affrontare con le scuole le varie tematiche inerenti la fauna ittica e le problematiche connesse, mostrando, oltre all'attività produttiva svolta, esemplari viventi dei pesci presenti nel Trasimeno e degli invertebrati più rappresentativi, con l'aiuto di acquari, diorami e pannelli descrittivi.

 

Impianto ittiogenico di Borgo Cerreto

L'Impianto Ittiogenico di Borgo Cerreto, ubicato in Valnerina in località Ponte, nel Comune di Cerreto di Spoleto,   è uno dei primi allevamenti di trote realizzati in Italia.

All'origine privato, fu acquistato dalla Provincia di Perugia al fine degli anni cinquanta per produrre in proprio il materiale ittico necessario per il ripopolamento delle acque a Salmonidi di propria competenza. Attualmente è gestito dalla Regione dell'Umbria.

Sorge alla confluenza del torrente Tissino con il fiume Nera ed è alimentato da acque sorgive che affiorano all'interno dell'impianto stesso da pozzi appositamente scavati.

Proprio le caratteristiche delle acque che lo alimentano (batteriologicamente pure, ad una temperatura costante di circa 12 °C ed esenti da qualsiasi fenomeno di inquinamento od intorbidimento) e le non rilevanti dimensioni, rendono questo impianto particolarmente adatto ad una produzione  caratterizzata da un elevato livello qualitativo.

Fra le numerose troticolture della Valnerina quella di Borgo Cerreto è l'unica ad essere specializzata nell'allevamento, a ciclo completo, di trote fario da ripopolamento.

All'interno dell'impianto viene infatti mantenuto in permanenza uno stock di riproduttori, opportunamente selezionato e periodicamente rinnovato, con i quali, nei mesi di novembre e dicembre, vengono prodotte le uova.

Queste sono ottenute applicando la tecnica di fecondazione artificiale a secco, che garantisce i migliori risultati, intesi come percentuale di fecondazione.

Le uova fecondate vengono quindi trasferite in appositi contenitori, detti embrionatori, nell'edificio adibito ad incubatoio.

Dopo circa trentacinque giorni dalla fecondazione avviene la schiusa ed in altri trenta il riassorbimento del sacco vitellino da parte degli avannotti.

A questo stadio inizia la somministrazione di alimento artificiale e dopo circa un mese le trotelle sono trasferite in vasche esterne in cemento, opportunamente ombreggiate, in cui prosegue l'accrescimento fino ad una età di circa cinque mesi e quattro/sei centimetri di lunghezza.

A questa taglia, nel mese di maggio,  avviene una prima "semina" nei fiumi di tali trotelle che, una volta immesse in ambiente naturale, in breve tempo si adattano alle nuove condizioni di vita, con ottime percentuali di sopravvivenza.

Parte delle trotelle viene invece trattenuta all'interno dell'impianto e trasferite in vasche più grandi, ove raggiungono in circa due anni la lunghezza  di 25-26 centimetri.

A questa taglia vengono utilizzate per immissioni effettuate in prossimità dell'apertura della pesca alla trota, per incrementare la pescosità dei fiumi principali.

Un piccola parte infine, dopo una accurata selezione, all'età di tre anni raggiunge la maturità sessuale ed entra a far parte dello stock dei riproduttori.

Il ceppo di trota fario allevato presso l'Impianto ittiogenico di Borgo Cerreto per molti anni, pur possedendo ottime caratteristiche qualitative per la spiccata rusticità ed adattabilità, grazie anche alle tecniche di allevamento a bassa densità, alla luce dei più recenti studi effettuati sulla genetica delle trote fario si è rivelato appartenente al ceppo atlantico e quindi non più idoneo  all'immissione nelle acque pubbliche di competenza della Regione dell'Umbria.

Per questo motivo l'impianto è stato riconvertito e dedicato alla produzione di trote fario di ceppo mediterraneo.

La prima produzione è stata effettuata utilizzando riproduttori provenienti dall'Impianto Ittiogenico di Terria, gestito fino alla fine dell'anno 2015 dalla Provincia di Terni, ove già da anni venivano svolte ricerche volte alla selezione ed alla produzione del ceppo mediterraneo della trota fario. Con la riallocazione in capo alla Regione dell'Umbria delle funzioni amministrative e di gestione inerenti la tutela e la conservazione del patrimonio ittico e la pesca, il lavoro di ricerca proseguirà, in collaborazione con le Università degli Studi di Perugia ed Ancona, al fine di individuare le popolazioni residue di trote autoctone presenti sul territorio regionale e giungere ad una significativa produzione di fario mediterranee, geneticamente pure, da utilizzare per il ripopolamento delle acque a salmonidi umbre.


Direzione regionale Sviluppo economico, Agricoltura, Lavoro, Istruzione, Agenda digitale
Servizio Foreste, Montagna, Sistemi naturalistici e Faunistica-venatoria
dott. for. Francesco Grohmann
Sezione Tutela patrimonio ittico e pesca sportiva
dott. Michele Croce
Informazioni
Paolo Sargenti
Via Mario Angeloni, 61 - 06124 Perugia
Tel. 075 5045066
Fax 075 5045565